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Revirement della Suprema corte di Cassazione sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne.
Revirement della Suprema corte di Cassazione sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne.
>Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. La Corte di Cassazione cambia idea.

Nota a Cassazione Civile, Sez. I, ord. 14 agosto 2020, n. 17183 - Pres. Giancola, Rel. Nazzicone

La Suprema Corte con l’ordinanza n. 17183/2020 affronta il tema dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non indipendente economicamente e lo fa innovando profondamente rispetto all'impostazione tradizionale.

Nel caso di specie, è la madre Caia (nome di fantasia, ndr) a proporre ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello, che, in riforma della decisione del giudice di prime cure che aveva ridotto l’assegno di mantenimento in favore della medesima per il figlio Sempronio da Euro 300,00 a Euro 200,00, ha revocato con decorrenza dal 1^ dicembre 2015 il suddetto assegno, nonché l’assegnazione dell’ex casa familiare.

La Corte territoriale, in particolar modo, ha sostenuto che l’obbligo del genitore al mantenimento del figlio maggiorenne viene meno quando quest’ultimo raggiunge la capacità di mantenersi da sé da ogni punto di vista, anche economico e che detta capacità, salvi comprovati deficit, superati i trenta anni di età si deve presumere.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso Caia deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 326-bis, 337-sexies e 337-septies c.c. per aver la Corte di merito errato nel ritenere il figlio Sempronio (nome di fantasia, ndr) capace di mantenersi autonomamente, atteso che, se è vero che è ultratrentenne, è altrettanto vero che lavora come insegnante di musica precario, onde manca il comprovato raggiungimento di una effettiva e stabile indipendenza economica.
Investita della questione la prima sezione civile della Corte di Cassazione, pur non ribaltando il risultato finale a cui è pervenuta la Corte di Appello, si concentra sull’esame dell’art. 337-septies comma 1^ c.c. da cui deduce, discostandosi in modo del tutto sorprendente dal proprio orientamento costante, l’automatica estinzione del diritto del figlio ad essere mantenuto dal genitore al compimento della maggiore età.

Orbene, prima dell’ordinanza in esame, la giurisprudenza riteneva in modo del tutto pacifico che l’obbligo di mantenimento gravante sul genitore non cessasse automaticamente al raggiungimento della maggiore età del figlio ma solo in seguito al conseguimento della sua autosufficienza economica da intendersi come capacità di provvedere a se stessi, di far ingresso nel mondo del lavoro e di costruirsi un proprio nucleo familiare. Capacità che si presumeva acquisita nel figlio adulto, di età superiore ai trenta anni, che avesse terminato già da un certo lasso di tempo il percorso di studi prescelto.

Il ragionamento che si faceva era il seguente.
Con la maggiore età del figlio vengono meno solamente i poteri di rappresentanza del genitore, visto che il figlio acquista la capacità di agire, mentre per il resto la responsabilità genitoriale perdura. Non estinguendosi automaticamente la responsabilità genitoriale al compimento della
maggiore età, non si estinguono neppure i doveri ad essa connessi; pertanto, residua in capo al genitore l’obbligo di provvedere al mantenimento del figlio sino a che egli non abbia raggiunto
l’indipendenza. Al figlio, dal canto suo, si richiede un dovere di diligente impegno nel perseguimento della propria autonomia economica e nella realizzazione di un proprio progetto di
vita. Ne deriva quindi che il diritto al mantenimento, di regola, viene meno o quando il figlio ha
trovato un’occupazione adeguatamente retribuita, non occasionale o quando ha terminato già da
un certo lasso di tempo gli studi, visto che il conseguimento del titolo di studio finale implica un
onere per il figlio di attivarsi con profitto per trovare un’occupazione (eventualmente anche non
pienamente corrispondente alle proprie aspirazioni).

Questa impostazione è ora stravolta dalla pronuncia in commento.

La Suprema Corte cambia rotta e dice che, mentre nei confronti del figlio minore vi è a carico dei genitori un obbligo di mantenimento legale, posto direttamente ed automaticamente dal legislatore che si ricava dall’art. 315-bis co. 1^ c.c., per l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne v’è invece una norma ad hoc: l’art. 337-septies c.c. che non prevede alcun automatismo circa l’attribuzione dell’assegno di mantenimento ma rimette la decisione al giudice, alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto.
Quello del figlio maggiorenne sarebbe, dunque, un diritto al mantenimento ulteriore che sorge solo su richiesta dello stesso e purché egli fornisca adeguata prova “(...) non solo [del]la mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro.”.
In mancanza, con il conseguimento della maggiore età si verificherebbe l’effetto estintivo del diritto al mantenimento legale perché si presume raggiunta la “(...) cd. capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato. Essa si acquista con la maggiore età, quando la legge presuppone raggiunta l’autonomia ed attribuisce piena capacità
lavorativa, da spendere sul mercato del lavoro, tanto che si gode della capacità di agire (e di
voto) (...)”.

È, infine, al § 4.5.4. che la S.C. indica alcune delle circostanze che, se provate, giustificano “(...) il
sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, (...), fra le
altre: a) la condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non
sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle
proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso; c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti dal figlio nell'ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale.”.

Avv. Giulia Simona Meucci

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