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Danni da vaccinazioni: cosa prevede la legge?
Danni da vaccinazioni: cosa prevede la legge?
  • Premessa

In un momento di vaccinazione di massa come quello attuale, può apparire di un certo interesse approfondire la tematica relativa alla risarcibilità degli eventuali effetti dannosi subiti a causa della somministrazione del siero anti Covid-19.

Molti, in particolare, ritengono che non vi sia spazio per risarcimento di alcun tipo, fondando tale assunto sulla non obbligatorietà del vaccino stesso, almeno per i soggetti under 50; chi si sottopone volontariamente a questo tipo di trattamento sanitario -firmando dunque il modulo di consenso informato- eliderebbe la responsabilità civile dello Stato per gli eventuali danni riportati. Ma vi sono dei riferimenti normativi o giurisprudenziali a sostegno di questa tesi?

  • Legge e giurisprudenza

Effettivamente, esaminando l'art. 1 della legge n. 210 del 1992, ci si trova in presenza di un dato letterale inequivoco, che sembra confermare in pieno la tesi della non-risarcibilità: “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge.”  

Tale dettato normativo, pertanto, non consente indennizzo se non in presenza di menomazioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie, così che gli eventuali danni riportati a causa dell'attuale vaccino contro il Covid-19, stante la non obbligatorietà dello stesso, non potrebbero essere risarciti dallo Stato.

Il dato letterale appariva chiaro, fintanto che la Corte Costituzionale, nel 2017, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale norma.

La questione di legittimità costituzionale della legge n. 210 del 1992 è stata infatti sollevata dalla Corte d'appello di Milano, nell'ambito di un giudizio promosso da un soggetto che aveva richiesto un indennizzo al Ministero della Salute a fronte della diagnosi della sindrome di Parsonage Turner, insorta a seguito di vaccinazione antinfluenzale «fortemente incentivata ai pensionati della sua fascia di età nelle campagne di sensibilizzazione del Ministero della Salute».

L'indennizzo era stato  originariamente negato sia dal centro medico, sia dal Ministero, poiché la vaccinazione in oggetto non era obbligatoria, ma solo raccomandata; ciò conformemente a quanto disposto dal già richiamato art. 1 della legge n. 210 del 1992.

La Consulta, pronunciandosi sul caso in oggetto con sentenza n. 268 del 2017, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 1, l. 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata.

In particolare -spiega la Corte- la mancata previsione del diritto all'indennizzo si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. Le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l'onere di un danno individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo di un beneficio anche collettivo: la più ampia sottoposizione a vaccinazione quale profilassi preventiva può infatti notevolmente alleviare il carico, non solo economico, che le epidemie solitamente determinano sul sistema sanitario nazionale e sulle attività lavorative. Il fatto poi che la raccomandazione sia accompagnata, per alcune categorie di soggetti, dalla gratuità della somministrazione, non potrebbe fondare alcuna limitazione del novero dei destinatari dell'indennizzo.

Conclude allora il Giudice delle leggi stabilendo che “la ragione che fonda il diritto all'indennizzo del singolo non risiede allora nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell'interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”.

Tale principio viene ribadito anche dalla Corte di Cassazione civile, con la recente sentenza n. 7354 del 2021, che ha infatti definitivamente riconosciuto il beneficio economico a favore di un soggetto che aveva contratto il “lupus eritematoso sistemico” a seguito della vaccinazione “anti epatite A”. “Una volta accertato il nesso di causalità, l'indennizzo in caso di danni dopo l'inoculazione del vaccino contro il contagio da virus dell'epatite A è sempre prevista, a prescindere dal fatto che esso sia soltanto raccomandato e non obbligatorio”.

Alla luce delle inequivocabili pronunce appena richiamate, può allora riconoscersi un indennizzo economico in favore di chi subisca pregiudizi da un vaccino non necessariamente obbligatorio per legge, ma fortemente raccomandato dall'autorità sanitaria, come è certamente quello attuale.

  • Le criticità

Tuttavia, per far sì che venga riconosciuto il diritto all'indennizzo, occorre fornire la prova che il danno asserito derivi dall'inoculazione del vaccino: la sussistenza del nesso causale tra somministrazione vaccinale ed il verificarsi del danno alla salute deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica. Ad esempio, con sentenza n. 22078 del 2018, la Corte di Cassazione ha accolto la domanda presentata da una donna, in qualità di tutore del figlio, colpito da tetraparesi spastica, insufficienza mentale ed epilessia, atteso che è stata ritenuta corretta la valutazione compiuta in appello, laddove si era affermato che la patologia poteva essere ragionevolmente collegato alla vaccinazione antipolio). In altri casi, invece (cfr. Corte appello Milano sez. lav., 18/02/2020, n.152) non spetta l'indennizzo previsto dall'art. 2, comma 1 della L. 210/92 per mancanza del nesso di causalità tra la somministrazione di vaccino esavalente e del primo ciclo del vaccino trivalente e l'autismo o qualsiasi altro disturbo del comportamento poiché non sussiste la ragionevole probabilità scientifica che il quadro patologico possa essere ricondotto alle vaccinazioni.

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